Questo FORUM sulla Diagnostica Flebologica è stato discusso in originale nella sezione del Gruppo “I Flebologi Italiani”,
presente nel sito web “https://www.facebook.com/groups/flebologitaliani”
Post n. 1 Giuseppe Botta ha scritto il 10 gennaio 2009 alle ore 8,20 Il Chirurgo Flebologo deve saper utilizzare in prima persona l’EcoColorDoppler o è sufficiente interpretare i quadri clinici corredati di diagnostica ultrasonografica eseguita da altri colleghi più esperti nel settore? |
Post n. 2 Giampiero Peruzzi ha scritto l’11 gennaio 2009 alle ore 1,11 Caro Peppino, mi fa molto piacere che tu abbia iniziato questa nuova forma di comunicazione che ci permette di essere meno formali, anche se aderenti alle nostre convinzioni e basi professionali e che credo ci possa aiutare al di la di schemi precostituiti e rigidi protocolli che costituiscono talvolta dei limiti, quando ci si trova in ambienti ufficiali. Detto ciò, tornando all’argomento di questo post, ti confesso che tu apri una porta che per me è aperta da sempre. Fino da quando da chirurgo flebologo ho comunciato ad interessarmi di diagnostica con US. Erano gli albori della metodica e, per farla molto breve senza stare a ricordare i passi iniziali e gli sviluppi rapidi delle tecnologie, sono sempre stato un convinto sostenitore della necessità che il chirurgo flebologo debba non solo saper utilizzare la metodica US, ma che ne sia sempre l’esecutore su ogni singolo paziente in procinto di essere da lui operato. Certamente comprendo che questa mia opinione si debba confrontare con le diverse situazioni “ambientali” nelle quali il chirurgo flebologo svolge la sua professione. Non sempre è possibile che ogni chirurgo operi pazienti che ha esaminato personalmente con EcoColorDoppler e/o con altre metodiche (flebotensiometria, pletismo, etc…). Allora, pur ribadendo la necessità che ogni flebopatico da operare debba giungere al tavolo operatorio con indagini diagnostiche “complete” (potremo definirle di secondo livello, eseguite anche da altri operatori), credo che la possibilità di disporre di un ecografo portatile in sala operatoria possa essere la soluzione alle varie difficoltà logistiche e possa consentire il raggiungimento di quel terzo livello diagnostico che molto spesso è necessario per il raggiungimento delle finalità terapeutiche e che nessuna cartografia può essere in grado di fornire, anche la più sofisticata! Ancora complimenti per l’iniziativa e spero che questo punto d’incontro si arricchisca di tanti contributi. Un saluto a tutti. |
Post n. 3 Giuseppe Botta ha scritto l’11 gennaio 2009 alle ore 14,02 Caro Giampiero, la tua risposta è molto articolata e non posso essere che d’accordo. Comunque il disporre di un ecografo portatile in Sala operatoria significa che il chirurgo operatore o comunque uno dell’equipe operatoria lo sappia utilizzare e sappia interpretare i dati ecografici e velocimetrici nel preciso momento in cui ciò si renda necessario. Entrando più apertamente nel discorso, è mia ferma convinzione che sia sbagliato oggi da parte del chirurgo operare un flebopatico su esclusiva indicazione di un ecografista, anche se espertissimo di problematiche venose. Il flebologo moderno, ma già Bassi nel secolo scorso lo scriveva, deve saper trattare le malattie venose con la terapia farmacologica, la terapia chirurgica, la scleroterapia e la elastocompressione, ma nello stesso tempo deve saper diagnosticare le flebopatie e non solo clinicamente, ma anche utilizzando a 360° gradi i mezzi diagnostici che la tecnologia moderna ci mette a disposizione. Un caro saluto e … grazie delle belle parole che hai avuto nei confronti di questa mia iniziativa. |
Post n. 4 Giampiero Peruzzi ha scritto il 12 gennaio 2009 alle ore 13,20 Sono pienamente d’accordo con te! A presto. |
Post n. 5 Paolo Santoro ha scritto il 19 gennaio 2009 alle ore 14,38 Ho circa 7 lustri di esperienza di chirurgia venosa e prima degli us operavo senza il loro ausilio. Dopo il loro avvento ho accettato di buon grado la loro utilizzazione, ma sempre dopo un esame clinico. Gli esami sono utili e devono comunque confortare una diagnosi clinica, se questa c’è ed è certa. Se esiste qualche dubbio, ben vengano gli us. |
Post n. 6 Giuseppe Botta ha scritto il 21 gennaio 2009 alle ore 21,44 E’ proprio così, Paolo. Gli ultrasuoni ci hanno dato dapprima l'”udito” con l’introduzione nella pratica clinica del doppler c.w., e poi anche la “vista” con l’introduzione dell’ecografia, nel caso nostro l’ecografia venosa. Perfettamente d’accordo con Te, quando dici che, se la diagnosi clinica c’è ed è certa, gli esami strumentali sono solo di conforto. Ma vedi: anche un sordo o un cieco si muovono nell’ambiente che li circonda più o meno a loro agio, ma è certo che, avendo l'”udito” o la “vista” i movimenti nell’ambiente circostante avvengono con più semplicità e non si rischia di essere travolti, es. da un treno o da un’automobile, solo perché non si è sentito il fischio o il clacson del mezzo che stava per sopraggiungere. Così si evita di cadere, es. dalle scale o da un sentiero di montagna, se si vedono per tempo i gradini o il dirupo sottostante. Più semplicemente l’immagine ultrasonografica ci aiuta molto, anche quando la diagnosi di varici è “certa”, nel decidere quella che riteniamo in quel momento la migliore strategia di cura per il o la paziente che abbiamo davanti. Ti ringrazio per esserTi inserito in questa discussione sulla diagnostica vascolare, portando il contributo della tua decennale esperienza in campo flebologico. Saluti. |
Post n. 7 Vittoria Cassioli ha scritto il 25 gennaio 2009 alle ore 3,22 Io credo che oggi l’ecocolordoppler sia indispensabile non tanto per la diagnosi di IVC … che è vero è primariamente clinica, ma bensì per la corretta indicazione chirurgica … |
Post n. 8 Maurizio Marchetti ha scritto il 27 gennaio 2009 alle ore 12,03 Ok, a pensarci bene tutti hanno almeno una parte di ragione e come al solito volendo si può sempre arrivare ad un accordo. Però senza eco una chirurgia mirata ad es. su una recidiva post-stripping chi si sentirebbe di farla oggi? e poi quanti interventi inutili, se non dannosi, su reflussi tronculari safenici(vedasi osti continenti che oggi riconosciamo benissimo)sono stati fatti in passato? Per il resto penso che un buon chirurgo flebologo debba essere anche un buon diagnosta, ma ciò non è un assioma, basta la capacità di collaborare tra persone che sanno parlarsi. |
Post n. 9 Marcello Donati ha scritto il 1 febbraio 2009 alle ore 14,37 Mi meraviglia molto che si possa ancora discutere sulla necessità che il chirurgo operatore sia anche colui che deve eseguire l’ecodoppler preoperatorio: la ritengo una “conditio sine qua non” per essere flebologo. Il punto è che anche l’operatore più esperto, di maggiore esperienza, che non sappia eseguire uno studio ecocolordoppler accurato, non ha, a mio modesto parere, il minimo diritto di eseguire un atto terapeutico (chirurgia, sclerosi, mousse etc…) su un paziente flebopatico. Pienamente d’accordo poi con il collega Peruzzi, che il gold standard sarebbe l’aver a disposizione un ecocolordoppler anche in sala operatoria, cosa non sempre possibile. |
Post n. 10 Enrico Oliva ha scritto il 7 febbraio 2009 alle ore 19,30 La clinica – l’ecodoppler – la chirurgia costituiscono il percorso virtuoso … e l’eco lo può anche fare un collaboratore, ma la cartografia è la base della strategia e bisogna farsela da soli. |
Post n. 11 Maria Amitrano ha scritto l’11 febbraio 2009 alle ore 17,34 Sembra che i pareri siano piuttosto omogenei: l’ecodoppler è il completamento indispensabile della clinica. Esso ci fornisce dati accurati e completi di anatomia ecografica indispensabili per una correttta procedura. Sicuramente è preferibile che l’operatore sia in grado di studiare personalmente il distretto venoso. Se ciò non è possibile, credo sia necessario che sia presente all’esame o comunque in perfetta sintonia con chi esegue la diagnostica. A questo proposito ritengo inoltre anche utile l’inverso. Vale a dire che chi fa diagnostica dovrebbe essere molto più presente in sala operatoria e questo vale un pò per tutti i distretti, per validare i nostri esami. |
Post n. 12 Giuseppe Botta ha scritto il 27 febbraio 2009 alle ore 21,24 Come Responsabile del Gruppo, constato che il Forum sulla Diagnostica Vascolare trova Noi Tutti d’accordo nella risposta affermativa alla mia domanda iniziale: “Il Chirurgo Flebologo deve saper utilizzare in prima persona l’EcoColorDoppler?” Ovviamente sì o, comunque, come sostiene Maria, se ciò non è possibile, credo anch’io che sia assolutamente necessario che Egli debba essere presente nel momento di esecuzione dell’esame. |
Post n. 13 Giuseppe Botta ha scritto il 27 febbraio 2009 alle ore 21,49 Altro argomento di discussione per gli amici Flebologi del Forum: << Ritenete che l’Ecocolordoppler sia attualmente il gold standard della diagnostica vascolare in grado di porre da solo l’indicazione all’intervento di chirurgia flebologica? >> |
Post n. 14 Giampiero Peruzzi ha scritto il 10 marzo 2009 alle ore 21,32 Non c’è dubbio! Concordo in pieno con Fausto. L’indicazione terapeutica è del chirurgo o del flebologo, se preferisci. Se poi le figure del diagnosta e del terapeuta coincidono abbiamo realizzato il golden standard!! |
Post n. 15 Giuseppe Botta ha scritto il 12 marzo 2009 alle ore 16,18 Dalle risposte di Fausto e di Giampiero mi accorgo che la mia domanda è stata formulata forse in maniera non troppo chiara. Il mio obiettivo nell’avere la risposta degli amici Flebologi, iscritti al Gruppo, è quello di sapere se oggi in tutti i pazienti che giungono alla nostra osservazione la diagnostica con l’ECD è sufficiente da sola per porre l’indicazione alla chirurgia flebologica oppure ritenete che un qualche ruolo possa ancora averlo la radiologia o meglio la scienza eidologica. In altre parole in quanti dei vostri potenziali o reali 100 pazienti avete fatto ricorso negli ultimi 12 mesi alla flebografia tradizionale, ascendente o discendente o per puntura diretta della varice, oppure alla AngioTc o AngioRMN? E’ gradita la percentuale o anche il numero assoluto dei casi, rapportati ovviamente a 100. Ringrazio anticipatamente coloro che vorranno fornire i loro dati, portando alla discussione il contributo della loro esperienza. |
Post n. 16 Fausto Passariello ha scritto il 13 marzo 2009 alle ore 16,12 Caro Giuseppe, credo che salvo casi molto rari, che in questo momento non riesco neanche a precisare, la flebografia nelle sue varie forme sia tramontata e validamente sostituita dall’ECD. Forse le forme angiodisplastiche potrebbero costituire ancora un campo di applicazione, per mettere in evidenza arborizzazioni difficilmente visibili. Quanto alla mia esperienza: 0% flebografie. Quanto all’AngioTC, io la uso solo per la valutazione delle complicanze trombotiche, cioè uso l’esame AngioTC polmonare nel sospetto di Embolia polmonare nell’urgenza e qui è insostituibile. Però non va richiesto a tutti, ma solo sulla guida clinica, ECD e laboratoristica (D-dimero). Quanto all’Angio-TC sul circolo venoso periferico, non ne vedo l’utilità. |
Post n. 17 Giampiero Peruzzi ha scritto il 15 marzo 2009 alle ore 17,59 Perfettamente d’accordo con Fausto. Nella mia esperienza: 0% flebografie, Angio-TC nelle angiodisplasie e nelle complicanze flebotrombotiche. |
Post n. 18 Sandro Michelini ha scritto il 29 novembre 2009 alle ore 11,28 Ritengo assolutamente importante lo studio ECD preoperatorio eseguito personalmente o presenziando all’esecuzione dello stesso da parte di altro operatore. In caso contrario, è come dover atterrare su una pista con luci fioche e senza strumenti di bordo. Oltre al “mappaggio”, grazie alla memoria visiva, lo stesso atto operatorio risulta essere più sicuro e spedito almeno nella mia esperienza. |